Ordinanza n. 416 del 1989

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ORDINANZA N.416

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria), degli artt. 46, 47, 55 e 56 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) nonché della restante normativa concernente le sanzioni di cui al titolo Y del medesimo decreto, promosso con ordinanza emessa il 30 luglio 1981 dalla Commissione tributaria di 1° grado di Savona sul ricorso proposto da Sambin Stanislao ed altri contro l'Ufficio Imposte Dirette di Savona iscritta al n. 45 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1989 il giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di tre giudizi riuniti, proposti da alcuni contribuenti avverso avvisi di accertamento notificati dagli uffici finanziari per I.R.PE.F. e I.LO.R. relative all'anno 1974 e, in uno di essi, per obblighi nascenti dalla qualità di sostituto di imposta rivestita dal ricorrente, la Commissione tributaria di primo grado di Savona, con ordinanza emessa il 30 luglio 1981 (pervenuta a questa Corte il 21 gennaio 1989) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: dell'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, in relazione all'art. 76 della Costituzione; del <nuovo ordinamento sanzionatorio> nel suo complesso per violazione del c.d. <principio di fissità> stabilito dal capoverso dell'art. 1 della legge 7 gennaio 1929, n. 4; degli artt. 46, comma quarto, e 56, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione; degli artt. 47 e 55 del medesimo d.P.R. n. 600, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione; nonché <della restante normativa concernente le sanzioni di cui al titolo V> del medesimo d.P.R.;

che, in particolare, assunta genericamente la rilevanza delle questioni in relazione alle controversie sottoposte al suo esame, il giudice rimettente dubita, in primo luogo, della legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo comma, n. 11 della legge delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971 perché, in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, non avrebbe indicato al legislatore delegato sufficienti principi e criteri direttivi per la concreta determinazione delle sanzioni amministrative e penali e per la loro graduazione in relazione all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni alle leggi tributarie;

che, per quel che concerne la questione relativa al <nuovo ordinamento sanzionatorio> nel suo complesso, il giudice a quo assume che esso non rispetterebbe il c.d. <principio di fissità> stabilito dal capoverso dell'art. 1 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui le disposizioni di tale legge, recante norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, non possono essere modificate o abrogate se non in modo espresso;

che, in ordine agli artt. 46, comma quarto, e 56, comma primo, del d.P.R. n. 600 citato, che rispettivamente recano la sanzione amministrativa e quella penale per i casi ivi considerati, prescindendo entrambi dalla dimostrazione di un comportamento fraudolento, doloso o colposo, del contribuente, si sostiene dal giudice a quo che essi si porrebbero in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto non distinguerebbero tra omessa dichiarazione e dichiarazione infedele nell’irrogazione delle rispettive sanzioni;

che, in proposito si soggiunge che la prima delle norme denunciate (art. 46 cit.), prevedendo l’irrogazione della pena pecuniaria anche nel caso in cui la differenza di reddito tra quello dichiarato e quello accertato -differenza sulla quale si calcola in concreto la misura della sanzione -dipenda dall’indeducibilità di spese, passività ed oneri, non terrebbe conto della difficile determinazione di tali fattori anche a causa delle incertezze della stessa amministrazione finanziaria nel procedere agli accertamenti, cosicché la dichiarazione diverrebbe <infedele> per effetto di elementi incerti, con conseguente applicazione anche della sanzione penale di cui all'art. 56, primo comma, dello stesso d.P.R.;

che, inoltre, si rileva che il mancato adeguamento della misura massima dell’imposta evasa, da cui scaturisce l’irrogazione della sanzione penale per omessa o incompleta o infedele dichiarazione (art. 56, primo comma, del d.P.R. n. 600), unitamente all’incertezza degli uffici finanziari in ordine alle detrazioni possibili, renderebbe il sistema sanzionatorio ancor più ingiusto, cosi violandosi gli artt. 76 e 24 della Costituzione;

che, nell'ordinanza di rinvio, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, é menzionata solo nel dispositivo, senza riscontri nella motivazione sui profili della rilevanza e della non manifesta infondatezza;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’inammissibilità o infondatezza di tutte le questioni.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, già sollevata in riferimento allo stesso parametro (art. 76 della Costituzione) e sotto gli stessi profili ora enunciati, é stata già dichiarata non fondata con sentenze nn. 83 del 1989, 111 e 128 del 1986 e manifestamente infondata con sentenza n. 83 del 1989 e con ordinanza n. 45 del 1988;

che, non essendo dedotti, nell'ordinanza di rimessione, profili o argomenti diversi da quelli già disattesi dalla Corte, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata;

che, quanto alla questione, concernente l'art. 56, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, va rilevato che questo prevede sanzioni penali la cui applicazione é preclusa al giudice rimettente, onde deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione per difetto di rilevanza;

che la questione di legittimità costituzionale, relativa al <nuovo ordinamento sanzionatorio> recato dal titolo V del citato d.P.R. n. 600 del 1973, sotto il profilo della violazione del c.d. <principio della fissità> stabilito dall'art. 1, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali sulla repressione della violazione delle leggi finanziarie), articolo peraltro abrogato espressamente dall'art. 13 del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1982, n. 516, é manifestamente inammissibile, essendo stato assunto come parametro di riferimento un principio non avente rango costituzionale;

che manifestamente inammissibile é anche la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, perché, come già precisato nella narrativa, manca nell'ordinanza ad essa ogni motivazione, essendosi limitato il giudice a quo a censurare tali norme nel dispositivo con un mero riferimento ai parametri costituzionali (artt. 76 e 77) invocati;

che anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma quarto, dello stesso d.P.R. n. 600, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione - sollevata sotto il profilo che la norma denunciata riserverebbe identico trattamento sia per l'omissione che per l’infedele dichiarazione, quest'ultima resa possibile da fattori di difficile determinazione a causa delle incertezze dell’Amministrazione finanziaria nelle operazioni di accertamento in ordine all’indeducibilità di spese, passività ed oneri - é manifestamente infondata poiché le due fattispecie poste a raffronto risultano invece sanzionate in modo diverso (cfr. art. 46 commi primo e quarto);

che, per quanto riguarda la questione, relativa allo stesso art. 46, comma quarto, cit., sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione, va chiarito che la normativa vigente consente al contribuente la scelta tra due alternative, e cioè quella di effettuare la dichiarazione e il conseguente versamento dell'imposta, senza avvalersi della detrazione, chiedendo il rimborso delle somme ritenute detraibili e quindi non dovute e con la conseguente possibilità in caso di rifiuto di adire il giudice tributario, oppure quella di operare direttamente le detrazioni e di difendersi in giudizio, qualora esse vengano contestate dall'amministrazione, si che nel sistema non e ravvisabile la denunciata violazione del diritto di difesa.

Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma secondo, delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione dalla Commissione tributaria di primo grado di Savona con l'ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del titolo V del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevata con la medesima ordinanza, in relazione all'art. 1, comma secondo, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie);

3) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, con la medesima ordinanza;

4) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) sollevata, in riferimento all'art . 76 della Costituzione, con la medesima ordinanza;

5) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 46, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, con la medesima ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 18/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE